Secondo la Cassazione, la collaborazione continuativa dei partecipanti crea valore aggiunto. I compensi corrisposti ai collaboratori (nel caso di specie, di entità oscillante tra i 19.000 e i 38.000 euro circa) sono un elemento rilevante per valutare l’eventuale assoggettamento ad Irap dell’impresa familiare. È quanto affermato dalla Cassazione con l’ordinanza n. 16742, depositata ieri.

Nel caso oggetto di pronuncia, l’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso contro la sentenza di secondo grado che aveva giudicato insussistente il requisito dell’autonoma organizzazione in capo a un agente di commercio, sulla base del presupposto che corrispondesse a terzi, occasionalmente, emolumenti di non rilevante entità.
Dal testo dell’ordinanza non è possibile evincere l’entità di tali somme. Ciò che preme sottolineare, invece, è l’accoglimento del ricorso da parte dei supremi giudici, atteso che la Commissione tributaria regionale, nel valutare la struttura utilizzata dal contribuente negli anni oggetto di controversia, aveva appunto omesso di considerare i corrispettivi erogati ai collaboratori familiari.

Secondo i giudici di legittimità, nel caso di specie la collaborazione continuativa dei partecipanti all’impresa familiare integra quel quid pluris atto a produrre una ricchezza ulteriore (o valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare.
La sentenza impugnata viene quindi cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, affinché decida la controversia alla luce del citato assunto.

Tale decisione non sembra tuttavia far venir meno il principio secondo cui, in assenza di ulteriori elementi atti a configurare un’attività autonomamente organizzata, le imprese familiari sono escluse da IRAP, qualora l’unico collaboratore svolga mansioni di segreteria ovvero generiche o meramente esecutive.
Si ricorda, infatti, che, secondo Cassazione a Sezioni Unite n. 9451/2016, non è atta a configurare un’attività autonomamente organizzata (e il conseguente assoggettamento ad IRAP) la circostanza di “avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui quando questo si concreti nell’espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive, che rechino all’attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o (…) generico”. Questo, a condizione che sia utilizzato un unico dipendente o collaboratore.

In effetti, tale impostazione è stata poi recepita dalla successiva ordinanza n. 17429/2016, nella quale la Suprema Corte, richiamando la citata sentenza a Sezioni Unite, ha sostenuto che, in capo alle imprese familiari, il presupposto impositivo IRAP deve essere accertato verificando la natura dell’attività svolta dai collaboratori.

Rileva la tipologia di attività del collaboratore

Pertanto, ove il partecipante all’impresa familiare sia unico ed espleti “mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive”, l’impresa stessa non è soggetta IRAP, se difettano ulteriori indici di autonoma organizzazione.
Tuttavia, in altre pronunce (tra le ultime, Cass. nn. 12616/2016 e 24060/2016), le imprese familiari sono state giudicate soggette ad IRAP proprio in considerazione del valore aggiunto prodotto dai collaboratori.
Al di là dell’eventuale assoggettamento ad imposta del titolare, sono in ogni caso esclusi dal tributo regionale i familiari collaboratori, per carenza del presupposto soggettivo.

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